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La vendetta? Non paga mai abbastanza

Scena finale de “La stangata”, film capolavoro del 1973, con Robert Redford, Paul Newman e Robert Shaw: Newman, dopo aver aiutato proficuamente Redford a tendere una trappola al truce Shaw, si rivolge soddisfatto all’amico e dice: «Ti sei vendicato!». La risposta di Redford, pronunciata con un velo di amarezza, ha del sorprendente: «Avevi ragione te, non è abbastanza».

Proprio così, la vendetta rappresenta una fonte di soddisfazione effimera, che certifica l’incapacità di risolvere le questioni alla radice. Come a dire: siccome non sono riuscito nel mio intento di stare bene, siccome non siamo riusciti a vincere insieme, mi ripago (o mi illudo di ripagarmi) nel far star male anche te.

Come quando noi tifosi del Toro esultiamo per le sconfitte della Juve in Champions (non io, che dei “cugini” valorizzo la torinesità, cui sono molto legato).

La vendetta è come una mano di bianco, che copre lo sporco sul muro, sì, ma non lo elimina. Senza contare che sotto traccia genera un pericoloso senso di colpa, capace alla lunga di evidenziare un’impotenza di fondo e alimentare emozioni negative e distruttrici.

Suggerimento. Prendiamo spunto da una battuta di un film per modellare la nostra vita più all’insegna dei nostri risultati positivi e meno di quelli negativi altrui. Mentre nel secondo caso non abbiamo il coraggio di guardarci allo specchio, nel primo andiamo a testa alta, con la forza di sostenere l’altrui sguardo e la serenità di investire quotidianamente le energie per la nostra crescita e il nostro benessere.

E gli altri? Benché si siano comportati male, lasciamoli liberi di seguire il loro percorso di vita e guardiamoli piuttosto con compassione.

Mai sentito parlare di perdono? Si tratta di un concetto non necessariamente legato alla sfera religiosa. Anzi, più svolgete una professione competitiva, più avete bisogno di farne affidamento.

Il perdono

Manfred Kets de Vries, docente olandese di dinamiche dei cambiamenti individuali e organizzativi, dedica un intero capitolo del suo libro “Mindful Leadership Coaching” all’arte del perdono (sentito? “arte”), che caratterizza i leader trasformativi. Questi ultimi, proprio perché liberi dal fardello del passato, sono capaci di assicurare un futuro di crescita alle organizzazioni per cui lavorano, private o pubbliche che siano. Scrive Kets de Vries: «Perdonare significa estirpare un pungiglione dalla memoria che altrimenti rischierebbe di avvelenare la nostra esistenza».

Da ricordare e farne tesoro.

Ad maiora!